"Il mangiare non si butta" è il nome di una onlus creata con uno scopo ben preciso: recuperare con gesti simbolici tutto il cibo che viene buttato senza nessuna vergogna in manifestazioni che normalmente servono solo a richiamare l'attenzione sulla grande abbondanza e sullo scarso prezzo dello stesso nei paesi più sviluppati.
«La nuova emergenza umanitaria in Somalia, nonché l'eterna fame in Africa, hanno stimolato il mio cervello a riflettere, anche perché in base alla gerarchia dei bisogni della Piramide di Maslow posso affermare di non avere necessità fisiologiche, per cui posso impegnarmi in cause umanitarie», ci spiega l'agitatore sociale Tino Alimen.
«Ieri, per esempio, siamo stati in una manifestazione in Corea del Sud, in cui gli allevatori protestavano al fine di ottenere un prezzo migliore per il loro latte. Ne hanno versato litri e litri per protesta, ma per fortuna siamo riusciti a recuperarne quasi otto bottiglie da un litro in una performance dal grande valore simbolico e sociale (è tutto documentato sul sito ilmangiarenonsibutta.it, in cui si può leggere che il nome dell'associazione è una dedica alla madre di Tino, che da piccolo ha sentito migliaia di volte questa frase). Il nostro è un gesto utile: lo avremmo mandato in Africa, ma il latte sarebbe probabilmente scaduto, così abbiamo deciso di farci colazione stamattina. Il caffellatte coreano non è niente male», spiega con un'espressione rapita il buon Tino.
«Recuperare il cibo è una perdita di tempo», spiega Lagrana Quattrini, dell'università di Cashville, «e tutti sanno che il tempo è denaro. Per la proprietà transitiva non buttare il cibo (che non può essere venduto a prezzi vantaggiosi per trarne sostanziosi utili) equivarrebbe a buttare via un sacco di soldi. Ed in tempo di crisi, buttare il denaro è un vero spreco, sapendo che ci sono un sacco di ricchi che stanno diventando molto meno ricchi: si tratterebbe di un vero e proprio controsenso economico, visto che sono proprio i ricchi a creare la ricchezza, che poi viene più o meno equamente distribuita, sia a livello di economia nazionale che a livello di piccoli squilibri tra i vari paesi del mondo».
Noi eravamo dall'altra parte con secchi ed imbuti |
«Stiamo cercando di fare una convenzione con gli amici di Nessuno tocchi Caino. Con i loro agganci potremo entrare in contatto con tutti gli stati in cui si applica ancora la pena di morte per arrivare ad un accordo geniale, che mi è venuto in mente proprio ieri: usare i corpi esanimi dopo l'esecuzione della condanna a morte per dare da mangiare ai poveri serial killer cannibali, che non possono subire la stessa fine perché vivono in paesi più garantisti e civili. In questo modo, si potrebbe garantire carne controllata e di buona qualità a tutti i maniaci squartatori del mondo, evitando in qualche caso anche qualche crimine truculento», conclude l'attivista Alimen.
D'accordo con l'Onlus, ma io che non mangio carne umana, potrei buttare al macero le carogne che ci affamano?
RispondiEliminaDel porco non si butta niente: questo lo dovrebbe sapere Tino Alimen!
RispondiEliminatutto tragicamente nothombiamente intrusamente vero
RispondiEliminaSempre ottimo :-D
RispondiEliminaGrazie per il commento, CIAO!!!
@Splitting Stone: la cosa più corretta da fare sarebbe darla ai tuoi amici serial killer cannibali...
RispondiElimina@Riverinflood: sì, river, bisogna sfruttare il porco fino in fondo... AlimenTino lo sa benissimo...
@Rò: grazie per aver pubblicato questa "ida de olla"...
@Lario: grazie per seguirmi sempre in modo tanto spontaneo...