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giovedì 30 giugno 2011

Google: plus ultra

Benedetto XVI, dopo la perfomance su Twitter con cui ha lanciato un sito grazie al tocco di un dito divino su di un tablet (trasformandosi automaticamente in BeneTwitter), ha deciso di spaziare sulle altre reti sociali: voci di corridoio (vaticano) danno quasi per sicuro che sarà il testimonial mondiale del "battesimo" del nuovo social nework che farà tremare tutti i suoi rivali: Google+.
NooBenedetto in modo RTFM
«Mi hanno detto che Google è onnisciente, un po' come il mio capo», avrebbe detto mentre giocava con i vari widget.
«Per lanciare la nuova rete sociale di Big G avevamo bisogno di qualcosa di celestiale: il dogma dell'infallibilità papale convincerà molti credenti, pardon utenti, che il nostro social network è quello che ci mancava. I nostri motti saranno "Non tutte le relazioni sono uguali" e "Condividere sul web come nella vita reale", ma lo slogan pronunciato dal Papa in un latino impeccabile sarà "Google: plus ultra", visto che si tratterà di un'esperienza che andrà al di là di quanto finora conosciuto (forse Google+ ultra sarà il nome del servizio a pagamento o di un detersivo da lanciare con il marchio di Mountain View): da noi ci saranno cerchie di amici (organizzate secondo la loro importanza), si potranno trovare spunti di riflessione, ci si potrà vedere in videoritrovi (una sorta di chatroulette noiosa). È ovvio che ci sarà di tutto e di più, ma nella nuova salsa minimalista di Google, che non ha alcuna intenzione di conquistare il mondo», afferma orgoglioso Jean Cloud Ordinateur.
Tipica amica da fare in Google+
«Lo scopo di Google è quello di convertirsi nel nuovo dio, come se si trattasse di un anime del Sol Levante con personaggi un bel po' megalomani. Il Papa rientra in questa strategia, consistente nel creare una nuova teologia del mondo di internet. Le relazioni online sono come le relazioni del mondo reale: un bel contenitore (di relazioni), per quanto innovativo, non garantisce che il contenuto (delle stesse) sia vero» spiega l'epistemologo A. Teo Bestemmione.

venerdì 20 maggio 2011

Facebook: quando taggare è di qualcuno

Il giornalismo contemporaneo si è ormai quasi del tutto convertito nell'arte della marchetta. Dopo la spiegazione di ieri sugli hashtags di Twitter, non potevamo non rendere omaggio anche a Facebook, che oggi ha definitivamente acquisito tutti i diritti sul "taggare foto", avendo ottenuto il brevetto corrispondente.
Taggare è roba di Facebook
«Sì, le tag sono solo nostre», dice Giangi Zuckerberg, cugino del più famoso Mark.
«Ora, quando tagghi qualcuno, stai sicuro che solo Facebook ne diventa il proprietario. Una leggenda indiana dei veri ed originali Indiani d'America narra che le foto rubano l'anima: Facebook potrà impadronirsi di tutte le anime attraverso il nuovo brevetto per poi rivenderle a qualsiasi multinazionale che le riutilizzerà poi per farne pubblicità, carpendo i desideri più intimi di ogni uomo-consumatore in un infinito circolo vizioso da social network».
«Anche se la parola "Taggare" in italiano non esiste, questa circostanza non mi ha salvato dalle foto in cui compaio "nudo e taggato" nel profilo Facebook di un'amica transessuale», fa sapere il nostro amico dell'Accademia della Crusca, Lapo Elkazz. «"Tag" verrà, quindi, introdotto nel prossimo vocabolario della lingua italiana come "diavoleria dei computer per far scoprire la tua privata a chicchessia"».

giovedì 19 maggio 2011

La guerra degli Hashtags

Non è il titolo di un nuovo colossal hollywodiano in costume, né vi è alcun riferimento a qualche prossimo intervento militare a difesa della libertà contro nuovi e pericolosi terroristi dal nome esotico. Un hashtag (#, o cancelletto) è il semplice strumento per creare tags su Twitter così da seguire meglio il flusso di notizie su di un determinato argomento (a proposito, #notiziedelfuturo esisterà?).
È lui: il "cancelletto" al potere
«È lo strumento più rivoluzionario degli ultimi anni in materia di comunicazione», ci spiega il webmaster di tetter.com, un social network incentrato sull'attualità e sui seni.
«Si mettono insieme, infatti, più cose che riguardano la stessa cosa, come in un libro o in un'enciclopedia, però per giovani».
«Questa parola così strana, hashtag, si può leggere ora anche sui giornali in relazione alla cosiddetta primavera spagnola, che sta favorendo il proliferare di tante chiavi di ricerca che includono a loro volta la parola rivoluzione (#spanishrevolution, #italianrevolution, etc.)», ci racconta un redivivo Dr. Smanettoni, esperto di relazioni sociali ed amorose su internet. «Tali "chiavi di lettura" sono in realtà in lotta tra di loro al fine di captare l'attenzione del classico lettore online, che normalmente ha un livello di attenzione che comporterebbe l'uso del Ritalin in altri paesi del mondo. Gli hashtags sono contenitori vuoti, che andrebbero riempiti di contenuto, essendo in realtà utilizzati per vincolare il maggior numero possibile di visite a mo' di spam, che è il grande problema del nostro secolo, anche a livello di relazioni interpersonali. Ormai non frequentiamo più persone: le conosciamo attraverso hashtags per poi riempirci a vicenda le nostre vite di spam. È la guerra quotidiana degli #hashtags», conclude Smanettoni.